Entanglement quantistico impiegato per lo sviluppo di una nuova tecnica di imaging olografico
Il team di fisici dell’Università di Glasgow guidato dal Dr. Hugo Defienne ha sperimentato una tecnica per sfruttare fotoni entangled per codificare informazioni in un ologramma che potrebbe portare a un miglioramento dell’imaging medico e accelerare il progresso della scienza dell’informazione quantistica.
L'olografia fu inventata nei primi anni '50 dal fisico ungherese-britannico Dennis Gabor (1900–1979) ma fino agli anni '80 gli ologrammi sono stati considerati principalmente una curiosità scientifica. In seguito, grazie al rapido sviluppo dei laser, l’olografia è stata gradualmente introdotta in molte applicazioni e, sebbene sia familiare a molti principalmente per il suo impiego nella generazione delle immagini di sicurezza stampate su banconote, carte di credito e passaporti, ha molte altre applicazioni pratiche tra cui l'archiviazione di dati, l'imaging medico e la difesa. L’olografia è diventata uno strumento essenziale anche per applicazioni biologiche e diagnosi mediche. In una tecnica chiamata microscopia olografica, gli scienziati creano ologrammi per caratterizzare in dettaglio i tessuti biologici e le cellule vive. Questa tecnica, ad esempio, viene utilizzata comunemente nell’analisi dei globuli rossi per rilevare la presenza dei parassiti della malaria e per la caratterizzazione degli spermatozoi per le procedure di fecondazione in-vitro.
L'olografia classica produce rendering bidimensionali di oggetti tridimensionali mediante la divisione di un fascio laser in due fasci che vengono fatti propagare lungo percorsi diversi. Uno di questi, detto fascio di target, illumina il soggetto dell'olografia e viene da esso riflesso e diretto su un detector digitale o su uno speciale film olografico. Il secondo fascio, detto di riferimento, viene riflesso da uno specchio e rinviato direttamente sulla stessa superficie di rilevamento senza che abbia interagito con il target.
Il pattern di interferenza ottenuto dalla ricombinazione dei due fasci sul detector o sulla lastra olografica, che nel loro percorso distinto hanno subito uno sfasamento, produce l’ologramma che registra l’informazione tridimensionale dell’oggetto. Tale processo è possibile grazie ad una proprietà della luce nota come “coerenza”. Quando sulla lastra si rinvia il fascio laser di riferimento, il fronte d'onda dell'oggetto viene ricostruito punto per punto ottenendo una rappresentazione tridimensionale dell'oggetto originale.
Anche la tecnica di olografia quantistica messa a punto dal team di Glasgow utilizza una sorgente laser il cui fascio viene diviso in due ma, a differenza dell’olografia classica, questi non vengono mai ricombinati. L’olografia quantistica, invece, sfrutta le proprietà uniche dell’entanglement quantistico - un fenomeno che Einstein definì notoriamente “azione fantasma a distanza” - per raccogliere le informazioni di coerenza necessarie per produrre un’olografia anche se i due fasci rimangono divisi.
L’esperimento è stato realizzato in laboratorio facendo interagire un laser blu con una coppia di lastre di uno speciale cristallo non lineare (il β-borato di bario, BBO) che divide il fascio in due, generando flussi di fotoni entangled durante il processo che vengono poi inviati lungo percorsi diversi. I fotoni risultano intrinsecamente correlati in uno stato entagled nei gradi di libertà spaziale e di polarizzazione.
Un flusso di fotoni - l’equivalente del fascio target nell’olografia classica - viene diretto verso un target e ciascun fotone che attraversa l'oggetto verrà leggermente rallentato in funzione dello spessore e delle proprietà ottiche del materiale. L’oggetto, dunque, altera la fase dei fotoni che lo attraversano in punti diversi. L'immagine proiettata dell'oggetto viene così impressa nel flusso di fotoni, o equivalentemente nell'onda ottica ad esso associata.
Nel frattempo, il secondo flusso di fotoni entangled - l'equivalente del fascio di riferimento nell’olografia classica - colpisce un modulatore di luce spaziale, un dispositivo ottico in grado di manipolare la luce e utilizzato per ridurre in modo frazionato la velocità dei fotoni. Quando i fotoni attraversano il modulatore, dunque, questi subiscono un phase-shift rispetto ai loro partner entangled che hanno attraversato il target.
Nell'olografia convenzionale, i due fasci verrebbero ricombinati l'uno con l'altro e la loro differenza di fase darebbe origine al pattern di interferenza alla base della generazione dell’ologramma sul detector. L’aspetto più sorprendente della versione quantistica dell’olografia è che i fotoni in questo caso non si ricombinano mai dopo aver attraversato gli oggetti lungo il loro rispettivo percorso.
Invece, poiché i fotoni sono legati dal principio di non-località quantistica, la variazione di fase di ciascun fotone è condivisa istantaneamente con l’altro indipendentemente dalla distanza che li separa. Il fenomeno dell'interferenza si verifica in remoto e l’ologramma (coincidence image) si ottiene rilevando le posizioni di coppie di fotoni entangled su due camere Andor EMCCD iXon Ultra 897 e misurando le loro correlazioni tra i gradi di libertà di polarizzazione. Un'immagine di fase ad alta risoluzione dell'oggetto viene infine ricostruita combinando
quattro ologrammi ottenuti per quattro diversi sfasamenti tra i due flussi, generati dal modulatore di luce spaziale che produce un phase-shift constante sui fotoni del fascio di riferimento.
Nell’esperimento del team di Glasgow, sono state ricostruite immagini di fase di oggetti artificiali come le lettere “UofG” programmate su un display a cristalli liquidi ma anche di oggetti reali come un nastro trasparente, goccioline di olio siliconico depositate su un vetrino da microscopio e una piuma di uccello.
Figura 1. Schema della tecnica di olografia quantistica con l’entanglement di fotoni perfezionata dal Dr. Hugo Defienne e dai suoi collaboratori dell'Università di Glasgow utilizzando le camere EMCCD iXon Ultra 897 di Andor Technology.
Il dottor Hugo Defienne ha affermato: “L’olografia classica permette di ottenere risultati molto interessanti agendo sulla direzione, il colore e la polarizzazione della luce ma presenta forti limitazioni dovute all’interferenza con sorgenti di luce indesiderata e alla sensibilità alle instabilità meccaniche.
Il processo che abbiamo sviluppato ci svincola dalle limitazioni della coerenza classica e introduce l’olografia nel mondo quantistico. L’entanglement di fotoni permette l’impiego di nuove tecniche per la generazione di ologrammi più nitidi e ricchi di dettagli che potrebbero condurre a nuove potenziali applicazioni pratiche per la tecnica olografica.
Una di queste applicazioni potrebbe essere l’imaging medico, dove l’olografia è già utilizzata in microscopia per esaminare in dettaglio campioni delicati che sono spesso quasi trasparenti. Il nostro metodo consente di generare immagini a maggior risoluzione e con minor rumore che potrebbero risolvere i più piccoli dettagli dei tessuti biologici e aiutarci a comprendere meglio come funziona la biologia a livello cellulare svelandoci processi che non possono essere osservati con le attuali tecniche di microscopia”.
Il professor Daniele Faccio dell’Università di Glasgow, coautore dell’articolo pubblicato su Nature Physics, ha dichiarato: “Ciò che è veramente entusiasmante è che abbiamo trovato un modo per integrare le camere digitali con risoluzione del megapixel nel sistema di rilevamento. Molte grandi scoperte nel campo dell’ottica quantistica degli ultimi anni sono state realizzate impiegando semplici sensori a singolo canale. Questi presentano il vantaggio di essere piccoli, veloci ed economici ma il loro svantaggio è che permettono di rilevare dati molto limitati sullo stato dei fotoni entangled coinvolti nel processo. Sarebbe necessario un tempo estremamente lungo per raccogliere tutte le informazioni ottenibili invece da una singola immagine ad alta risoluzione.
I sensori EMCCD che stiamo utilizzando ci mettono a disposizione un livello di risoluzione non disponibile prima d’ora con cui eseguire i nostri esperimenti: fino a 10.000 pixels per immagine di ciascun fotone entangled. Questo significa che possiamo misurare il loro entanglement e la quantità di fotoni nei flussi con estrema precisione. I computer quantistici e le reti di comunicazione quantistica del futuro richiederanno almeno quel livello di dettaglio sulle particelle entangled che utilizzeranno. È un passo in avanti che ci avvicina alla realizzazione di un cambiamento radicale in questi settori in rapido sviluppo. È una svolta davvero entusiasmante e desideriamo consolidare questo successo con ulteriori perfezionamenti”.
La misura delle correlazioni tra fotoni entangled per la ricostruzione di ologrammi quantistici è l’aspetto tecnico chiave in questo esperimento. Grazie all'elevata efficienza quantica, alla sensibilità al singolo fotone e al basso livello di rumore della camera Andor EMCCD modello iXon Ultra 897, il team di Glasgow è stato in grado di rilevare coincidenze di fotoni tra più di 1 miliardo di coppie di pixel in parallelo, consentendo la ricostruzione di immagini quantistiche ad alta risoluzione da 40 Kpixels. Tale esperimento sarebbe stato impossibile da realizzare facendo uso di altre tecnologie per il conteggio delle coincidenze di fotoni come, ad esempio, le tecniche di scansione raster o utilizzando gli attuali array SPAD commerciali.
L’aspetto più affascinante dell’olografia con approccio quantistico è che il fenomeno dell’interferenza avviene anche se i fotoni non interagiscono mai tra loro e se sono separati da qualsiasi distanza.
Al di là di questa proprietà fondamentale, l’uso dell’entanglement invece della coerenza ottica in un sistema olografico offre vantaggi pratici come la migliore stabilità e la resilienza al rumore, il fenomeno non risulta affetto dalla presenza di fonti di luce esterne, oltre alla maggiore risoluzione spaziale.
L’articolo del team dell’Università di Glasgow, intitolato “Polarization Entanglement-enabled quantum olography”, è pubblicato su Nature Physics.
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